#fralepagine: Lungo cammino verso la libertà di Nelson Mandela

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Non sono nato con la sete di libertà. Sono nato libero, libero in ogni senso che potessi conoscere. […] Solo quando ho scoperto che la libertà della mia infanzia era un’illusione, che la vera libertà mi era già stata rubata, ho cominciato a sentirne la sete. Dapprima, quando ero studente, desideravo la libertà per me solo, l’effimera libertà di stare fuori la notte, di leggere ciò che mi piaceva, di andare dove volevo. Più tardi a Johannesburg, quand’ero un giovane che cominciava a camminare sulle sue gambe, desideravo le fondamentali e onorevoli libertà di realizzare il mio potenziale, di guadagnarmi da vivere, di sposarmi e di avere una famiglia, la libertà di non essere ostacolato nelle mie legittime attività. Ma poi lentamente ho capito che non solo non ero libero, ma non lo erano nemmeno i miei fratelli e sorelle; ho capito che non solo la mia libertà era frustrata, ma anche quella di tutti coloro che condividevano la mia origine. E’ stato allora che sono entrato nell’African National Congress […] La libertà è una sola: Le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti, e le catene del mio popolo erano anche le mie. […] Sapevo che l’oppressore era schiavo quanto l’oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della loro umanità. […] La verità è che non siamo ancora liberi: Abbiamo conquistato soltanto la facoltà di essere liberi, il diritto di non essere oppressi. […] Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare. Adesso mi sono fermato un istante per riposare, per volgere lo sguardo allo splendido panorama che mi circonda, per guardare la strada che ho percorso. Ma posso riposare solo per qualche attimo, perché assieme alla libertà vengono le responsabilità, e io non oso trattenermi ancora: Il mio lungo cammino non è ancora alla fine.

#fralepagine: Passeggeri Notturni di Gianrico Carofiglio

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Passeggeri Notturni
di Gianrico Carofiglio

Einaudi Editore
104 pagine
€ 12,50
ISBN 9788806229344

uscito nel 2016

 

IPOCOGNIZIONE è vocabolo difficile, poco usato ma piuttosto importante. Indica la situazione di chi non possiede le parole – e dunque i concetti, i modelli di interpretazione della realtà – di cui ha bisogno per gestire la propria vita interiore e i rapporti con gli altri.

Il concetto di ipocognizione deriva da uno studio condotto a Tahiti negli anni cinquanta da Robert Levy, antropologo e psicoterapeuta. Nel tentativo di individuare la ragione dell’altissimo numero di suicidi registrati a Tahiti, Levy scoprì che i tahitiani non avevano le parole per indicare il dolore, al di fuori di quello fisico. Non avevano le parole per indicare la sofferenza spirituale. Naturalmente la conoscevano e la provavano, ma non avevano per essa un concetto e un nome. Dunque non erano in grado di identificarla. Non erano in grado di nominare, e quindi di elaborare, la fragilità, la tristezza, l’angoscia. La conseguenza di questa incapacità, nei casi di sofferenze intense, e per loro incomprensibili, era spesso il drammatico cortocircuito che portava al suicidio.

Racconto spesso questo aneddoto scientifico perché mi sembra faccia comprendere, molto più di un lungo discorso, quale sia l’importanza pratica – direi quasi materiale – delle PAROLE.

[…]

Le parole che utilizziamo possono avere un impatto straordinario non solo sulle nostre vite individuali, ma anche su quelle collettive. Le parole creano la realtà, fanno – e disfano – le cose; sono spesso atti di cui bisogna prevedere e fronteggiare le conseguenze, in molti ambiti privati e pubblici.

La buona politica è anche – forse soprattutto – dare il nome giusto alle cose.

#fralepagine: Mia nonna saluta e chiede scusa di Fredrik Backman

cover Mia nonna saluta e chiede scusaNel mondo reale ci sono migliaia di fiabe che nessun intelligentone sa da dove vengano.
Dipende dal fatto che vengono tutte dal Paese-Da-Quasi-Svegli, dove non ci si prende il merito e non ci si vanta, si fa solo il proprio lavoro.
Tutte le fiabe migliori del Paese-Da-Quasi-Svegli vengono da Miamas.
Di tanto in tanto tutti e sei i regni hanno prodotto singole fiabe, ovvio, ma nessuno degli altri è nemmeno lontanamente bravo quanto Miamas. A Miamas si producono fiabe giorno e notte, si costruiscono ancora a una a una, a mano con cura, non in serie in qualche fabbrica del cavolo.
E solo le più belle in assoluto vengono esportate. Molte vengono raccontate una volta sola e poi cadono dritte a terra, mentre le migliori, le più belle, si staccano dolcemente dalle labbra di chi ne pronuncia l’ultima parola, fluttuano lente sopra tutti coloro che le ascoltano come piccole lanterne di carta brillanti e quando cala la notte vengono portate via dagli enfanti.
Gli enfanti sono creature molto piccole con dei cappelli carinissimi che cavalcano le nuvolanimali. Cioè, gli enfanti. I cappelli invece cavalcano gli enfanti, se vogliamo essere puntigliosi.
Comunque le lanterne vengono raccolte dagli enfanti in grandi retini dorati, poi le nuvolanimali si voltano e si alzano in cielo così in fretta che perfino il vento si fa da parte per lasciarle passare. E se il vento non si sposta abbastanza in fretta, le nuvolanimali gli gridano: “Togliti! Stordito di un vento!”, e si trasformano in una specie di animale con le dita per potergli mostrare il medio.
In cima alla montagna più alta del Paese-Da-Quasi-Svegli, la Montagna dei Racconti, gli enfanti mollano i retini e lasciano che le storie volino libere.
Ed è così che arrivano nel mondo reale tutte le fiabe che nessun intelligentone sa da dove vengano.

#fralepagine: Florence Gordon di Brian Morton

Florence aveva sempre trovato curioso il modo in cui anche i giovani sofisticati amavano parlare del “destino” come per convincersi che “c’è una ragione per tutto”. Il modo in cui coniugavano un’eccentrica individualità ad un’accettazione passiva delle cose.

Una delle cose migliori della vita, tuttavia, è la differenza tra ciò che accade dentro di noi e ciò che mostriamo al mondo.

Immaginare il passato di una persona anziana è difficile quanto immaginare il futuro di una persona giovane.

Florence stava ancora riflettendo sulle cose che le aveva chiesto sua nipote: c’è qualcosa che farai in modo diverso d’ora in poi? Non ti sembra un’opportunità per fare dei cambiamenti nella tua vita? Nessuna delle sue amiche avrebbe mai pensato di farle quelle domande. Forse perché la conoscevano fin troppo bene e sapevano che i cambiamenti non le interessavano. O forse perché, col passare del tempo, le idee che ci facciamo riguardo ai nostri amici e alle persone care si cristallizzano. Cominciamo a vederli in modo immutabile e limitato e così ci convinciamo che siano immutabili e limitati. 

#fralepagine: L’amore paziente di Anne Tyler

Mentre accadeva non me ne rendevo quasi conto. Abbiamo una tale capacità di adattarci ai cambiamenti. Siamo come amebe, abbracciamo e inghiottiamo e ci adeguiamo e tiriamo avanti, fino a quando eventi enormi diventano piccolezze quasi impercettibili nella storia della nostra vita.

Se qualcuno mi svegliasse nel cuore della notte e mi chiedesse “Presto, senza pensare: Qual è la cosa più importante del mondo?” risponderei: “La privacy”. Lo so che non è vero, non c’è bisogno di dirmelo. So che la risposta vera probabilmente è l’amore o la comprensione o il sentirsi necessari; è così anche per me. Ma sto parlando della prima cosa che mi verrebbe in mente, ed è la privacy. Starmene seduta in una stanza a leggere un libro senza che nessuno mi interrompa. È tutto ciò che ho mai coscientemente desiderato dalla vita.

Oh se c’era un dio in cui credeva, era la gradualità. Se soltanto gli altri gli avessero lasciato affrontare le cose a modo suo, passo dopo passo, senza bisogno di quei balzi improvvisi che avvenivano nel mondo esterno!

Nessuno è soltanto ciò che sembra in superficie. 

#fralepagine: Piangi pure di Lidia Ravera

Secondo Schiller fame e amore tengono insieme la compagine del mondo. La fame è al servizio della conservazione del singolo individuo, l’amore è al servizio della conservazione della specie. Quindi non può essere del tutto inutile, l’amore.

Mi commuove quanto ci danno dentro ad amare se stesse, le ragazze. Si amano attraverso gli uomini. La sensazione più appagante è quella di essere contese, oggetto di guerre fra maschi.

Mi sono addormentata pensando che la solitudine è una vecchia coperta. Ti ci avvolgi per difenderti dal freddo e prende la forma del tuo corpo. Diventa vestito. Non puoi accogliere nessuno dentro il tuo vestito. Neanche se lo ami. Neanche se è lì davanti a te. E sta tremando di freddo.

Volevo dire che la solitudine è una condizione estrema, non c’è vincolo di relazione che ti obblighi, e obbligandoti, ti sollevi dal peso della spietata libertà. Lo so benissimo che l’ho cercata per tutta la vita, la libertà nella solitudine, negandomi, ritirandomi, chiudendo rapporti, perdendo numeri di telefono, indirizzi, occasioni.Ho sempre avuto un “NO” sulle labbra. E adesso che cosa succede?Mi sono pentita?Voglio diventare una vecchia ciarliera che esce con le amiche per parlare di niente?

Parliamo di: L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono

Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile. 

Nelle lande nude e monotone della Provenza vi era un pastore solitario e tranquillo, di poche parole che, dopo aver perso moglie e figlio, provava piacere nel vivere lentamente con le proprie pecore e il proprio cane.

In passato aveva posseduto una fattoria in pianura. Il suo nome era Elzeard Bouffier. Aveva 55 anni. Piantava alberi da circa 3 anni… 100 mila per la precisione, ne erano spuntati 20 mila, (secondo gli imprevedibili disegni della Provvidenza) contava di perderne la metà, ne rimanevano quindi 10 mila.

Questo piccolo racconto (scritto nel 1953, pubblicato per la prima volta nel 1973. Di pura fantasia), che si fa leggere in un’ora, è narrato da un forestiero (lo stesso Jean Giono) capitato per caso sui suoi passi… Inizialmente non si rese conto della sua mirabile azione. Nel corso del tempo, ogni volta che tornava, la natura intorno a sé cambiava aspetto, rinasceva, grazie al gesto disinteressato di un uomo silenzioso, capace di percorrere Km su Km pur di compiere tale rituale, fino alla sua morte.

Anche il vento disperdeva certi semi. Con l’acqua erano riapparsi anche i salici, i giunchi, i prati, i giardini, i fiori e una certa ragione di vivere.

Un messaggio carico di speranza e bellezza che porta con sé un significato profondo, il vero senso dell’esistenza, dei motivi per il quale siamo qui… tanto da rendere realmente Bouffier “un atleta di Dio“, come lo definisce lo scrittore stesso. Una parabola sul rapporto uomo-natura che ci deve quindi far riflettere, porci domande che non possiamo rimandare sull’importanza della nostra responsabilità individuale e collettiva, su quanto le nostre scelte ci condizionano e condizionano l’ambiente circostante in meglio o peggio e dei risultati che siamo capaci di raggiungere se nella nostra vita agiamo con amore, rispetto, perseveranza, pazienza…

#fralepagine: Quando siete felici fateci caso di Kurt Vonnegut

Ciò che è andato storto è che troppe persone, dagli studenti delle superiori ai capi di stato, obbediscono al Codice di Hammurabi, un re babilonese vissuto quasi quattromila anni fa. Ci sono echi del suo codice anche nell’Antico Testamento. «Occhio per occhio dente per dente». Se Cristo non avesse pronunciato il Discorso della Montagna, con il suo messaggio di misericordia e pietà, io non vorrei essere umano. Preferirei essere un serpente a sonagli. La vendetta genera vendetta, che genera vendetta, che genera vendetta, formando una catena continua di morte e distruzione che lega le nazioni di oggi alle tribù barbare di migliaia e migliaia di anni fa.

E io consiglio a voi, Adami ed Eve, di proporvi come obiettivo quello di prendere una piccola parte di pianeta e metterla in ordine, rendendola sicura, sana di mente e onesta. C’è un sacco di pulizia da fare. C’è un sacco di ricostruzione da fare, sia a livello spirituale che materiale. E, ripeto, ci sarà anche un sacco di felicità. Mi raccomando, rendetevene conto!

Un’altra cosa che potreste fare, come optional, è rendervi conto che ci sono sei stagioni, non quattro. La poesia delle quattro stagioni è completamente sbagliata per questa parte del pianeta, ecco forse perché siamo quasi sempre così depressi. Insomma, spesso e volentieri la primavera non sembra affatto primavera, e novembre non c’entra niente con l’autunno, e così via. Ecco la verità sulle stagioni: la primavera sono maggio e giugno! Cosa c’è di più primaverile di maggio e giugno? L’estate sono luglio e agosto. Fa un caldo boia, no? L’autunno è settembre e ottobre. Le vedete le zucche? Sentite l’odore di quel falò di foglie secche. Poi viene la stagione chiamata «Chiusura». È il periodo in cui la natura chiude i battenti. Novembre e dicembre non sono l’inverno. Sono la chiusura. Poi arriva l’inverno, gennaio e febbraio. Accidenti! Quanto sono freddi! E poi cosa arriva? Non la primavera. La riapertura. Che altro potrebbe essere aprile?

Ma tornando a mio zio Alex, che ormai è in paradiso. Una delle cose che trovava deplorevole negli esseri umani era che si rendevano conto troppo raramente della loro stessa felicità. Lui invece faceva del suo meglio per riconoscere apertamente i momenti di benessere. Capitava che d’estate ce ne stessimo seduti all’ombra di un melo a bere limonata, e zio Alex interrompeva la conversazione per dire: «Cosa c’è di più bello di questo?». Spero che voi farete lo stesso per il resto della vostra vita. Quando le cose vanno bene e tutto fila liscio, fermatevi un attimo, per favore, e dite a voce alta:«Cosa c’è di più bello di questo?»

#fralepagine: Il Profeta di Kahlil Gibran

Che ne pensi del matrimonio, Maestro?
Ed egli rispose:
Siete nati insieme, e insieme sarete per sempre.
Voi sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
Sì, sarete insieme persino nella silenziosa memoria di Dio.
Ma lasciate che vi siano spazi nel vostro stare insieme, e lasciate che i venti del cielo danzino tra voi.
Amatevi l’un l’altro, ma dell’amore non fatene un vincolo: Lasciate piuttosto che vi sia un mare in movimento tra le sponde delle vostre anime.
Riempitevi reciprocamente la coppa, ma non bevete da una singola coppa.
Datevi l’un l’altro un po’ del vostro pane, ma non mangiate dalla stessa pagnotta.
Cantate e danzate insieme e siate gioiosi, ma fate che ognuno di voi possa star solo, come sole sono le corde del liuto sebbene vibrino la stessa musica.
Datevi il cuore, ma non per trattenervelo l’un l’altro.
Poiché solo la mano della Vita può contenere il vostro cuore.
E reggetevi insieme, senza però stare troppo vicini:
poiché le colonne del tempio sono collocate a una certa distanza, e la quercia e il cipresso non crescono l’uno all’ombra dell’altro.